Valutazione generale dei rischi in era Covid
- Luglio 8, 2021
- Posted by: Alessandro Peruzzi
- Categoria: Sicurezza, Strumenti per la sicurezza
È ormai passato il primo anno dall’inizio della “pandemia” da Coronavirus e le imprese, con la collaborazione dei lavoratori, stanno attuando, da un equivalente periodo, le misure di prevenzione e protezione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro facendole diventare parte integrante del modo di lavorare.
Nell’arco di questo tempo, oltre alla repentina richiesta alle imprese di mettere mano all’organizzazione del lavoro per applicare efficacemente le misure richieste dai decreti e protocolli che si sono susseguiti, si è contestualmente dibattuto a tutti i livelli, sulla necessità o meno di aggiornare il documento di valutazione dei rischi contemplando il rischio biologico legato al nuovo Coronavirus; in questo contesto, fin da subito, le opinioni maggiormente presenti erano così distinte:
- aziende che hanno lavoratori che, per l’effettuazione dell’attività lavorativa, si trovano esposti direttamente al rischio di contagio incrementandone la probabilità di accadimento rispetto alla popolazione generale (il pensiero va subito a medici, infermieri, ecc.); per esse il rischio biologico è un rischio professionale e quindi risultano obbligate a mettere mano al proprio DVR, aggiornando le misure di prevenzione e protezione attuate;
- aziende che hanno lavoratori che, per l’effettuazione dell’attività lavorativa, devono attuare le medesime misure di contenimento che attua la popolazione generale; per esse il rischio biologico non è specifico dell’organizzazione, non è un rischio professionale, non sono soggette quindi ad un incremento del rischio di contagio rispetto alla popolazione generale e non devono aggiornare il proprio DVR.
A supporto di questa visione, sul nostro territorio, il 20/03/2020 veniva diffuso dalla Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità della Regione, il documento indirizzato alle Aziende Sanitarie regionali con oggetto “Nuovo Coronavirus (Sars-Cov-2) – Indicazioni operative per il Personale PSAL” nel quale si leggeva il seguente punto:
Aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi
Nella maggioranza dei comparti lavorativi l’esposizione a COVID-19, potenziale o in atto, non è connaturata alla tipologia dell’attività svolta: il rischio biologico da COVID-19 è quindi riconducibile al concetto di rischio generico comune per tutta la popolazione.
Pertanto, non si ritiene giustificato né necessario l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in relazione al rischio associato all’infezione da SARS-CoV-2 (se non in ambienti di lavoro qualora il rischio di infezione da SARS-CoV-2 sia un rischio di natura professionale, legato allo svolgimento dell’attività lavorativa, aggiuntivo e differente rispetto al rischio per la popolazione generale).
Allo stesso documento era allegata una check list operativa che trattava nel modo seguente la questione:
Anche a seguito di aggiornamento in data 4 novembre 2020, la check list “ufficiale” riportava un contenuto sostanzialmente equivalente:
Occupandomi di consulenza alle imprese ed avendo come obiettivo il concreto supporto alle organizzazioni lavorative nella ricerca delle soluzioni efficaci per permettere di proseguire le attività, limitando al minimo i rischi di diffusione del contagio e rispettando la richiesta legislativa, ho fin da subito promosso questa visione anche perché è focalizzata sulla tutela senza il bisogno di appesantire ulteriormente gli adempimenti con documentazione che non porta alcun valore aggiunto in quello che dovrebbe essere l’interesse di tutti, la tutela della salute e, contestualmente, del lavoro.
I sopralluoghi del personale ispettivo delle aziende sanitarie territoriali effettuati nelle aziende, ai quali ho avuto il piacere di partecipare, hanno confermato la linea sopra descritta, valutando il rispetto delle indicazioni fornite nel protocollo condiviso dell’aprile 2020, senza mai richiedere di visionare l’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi.
Ottimo quindi! Tutto ha funzionato nel migliore dei modi. Controllori e controllati hanno operato nella stessa direzione supportandosi a vicenda nel momento della necessità, senza appesantire ed accanirsi su questioni documentali secondarie rispetto gli obiettivi primari: salute e lavoro.
Non tutto va per il meglio
Avendo letto fino a questo punto, a meno di avere una diversa idea in merito all’aggiornamento del DVR, sarete felicemente sorpresi che tutto sia stato semplice e lineare, visto che, a dire il vero, non siamo abituati alla semplicità e linearità parlando di applicazione della legislazione sulla sicurezza sul lavoro.
Ed in effetti, se pensate che sia troppo bello per essere vero, avete ragione.
Non voglio dilungarmi citando le diverse fonti che sostengono che il documento di valutazione del rischio deve essere aggiornato da tutte le organizzazioni nelle quali è presente almeno un lavoratore, ne sintetizzo una su tutte, l’opinione del dott. Raffaele Guariniello che è senza dubbio un’autorità in ambito di applicazione ed interpretazione della richiesta legislativa sulla salute e sicurezza sul lavoro.
Il dott. Guariniello muovendosi tra gli articoli del D.Lgs. 81/2008, sentenze della Cassazione e Interpelli delinea il seguente percorso nel suo testo “LA SICUREZZA SUL LAVORO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS” edito da IPSOA e pubblicato nel marzo 2020:
- l’espressione “tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa” – art. 28, D.Lgs. 81/2008 – è “espressione altamente significativa, in quanto fa intendere che debbono essere valutati tutti i rischi che possono profilarsi, non necessariamente a causa dell’attività lavorativa, bensì durante l’attività lavorativa: come appunto il coronavirus” ed è supportata dalle indicazioni della Commissione nell’interpello n. 37412 che riporta la necessità del datore di lavoro di valutare anche i “potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti … rischi generici aggravati …, legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento.”
- Non solo “durante” ma anche “ovunque”: “La valutazione deve riguardare il rischio coronavirus ovunque l’attività lavorativa venga prestata, e, quindi, anche all’esterno dei locali aziendali.”
- Non una generica valutazione del rischio Coronavirus: “l’analisi del rischio coronavirus non può essere generica, così come non può essere generica l’individuazione delle relative misure di prevenzione e protezione.”
- Il rischio specifico dovuto all’esposizione ad agenti biologici richiamato dal Titolo X del Testo Unico, per quanto attiene al Coronavirus riguarda tutte le attività e tutti i settori di rischio: “A proposito del coronavirus il pensiero corre al Titolo X, D.Lgs. n. 81/2008, intitolato “Esposizione ad agenti biologici”, e a quell’art. 266 ove si stabilisce che “le norme del presente Titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici”, e, dunque, anche a quelle attività in cui tale rischio non derivi dalla “deliberata intenzione di operare con agenti biologici””
- Il DVR deve essere senz’altro rielaborato in quanto “costituisce un documento “dinamico”, e, dunque, un documento preordinato a fornire una rappresentazione della realtà aziendale non già statica, bensì costantemente fedele.” e visto che il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute, e che per “valutazione dei rischi” s’intende, in base all’art. 2, comma 1, lett. q), D.Lgs. n. 81/2008, una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività”.
Da quanto appena riportato appare evidente l’obbligo di valutare il rischio e aggiornare il documento di valutazione dei rischi in tutte le attività e tutti i settori di rischio.
Molto bene abbiamo finito.
No, non ancora.
Cosa ne pensa il prof. Giuseppe Pellacani?
Infatti, il prof. Giuseppe Pellacani, ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, nel commentare le opinioni di Raffaele Guariniello e Pietro Ichino in merito alla possibilità di licenziamento dei lavoratori che non volessero vaccinarsi contro il Covid-19, nell’articolo “Vi spiego perché non si può licenziare chi non si vaccina contro Covid-19” ritiene che “la qualificazione, confermata nei protocolli, del contagio da Coronavirus quale “rischio generico” in quanto incombente indistintamente su tutta la popolazione e all’individuazione di precise prescrizioni precauzionali, induce a ritenere che l’adozione e la corretta applicazione delle misure previste nei protocolli e nelle specifiche discipline di settore escluda la responsabilità datoriale, penale, contrattuale ed extracontrattuale.”
A sostegno della tesi riporta che “nell’articolo 29-bis (Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19) del “decreto liquidità” (n. 23/2020), articolo inserito in sede di conversione (l. n. 40/2020) che, fornendo un importante chiarimento rispetto a quanto stabilito dall’articolo 42 del decreto Cura Italia (n. 18/2020) dispone espressamente che “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.”
Prosegue poi operando una distinzione fra attività lavorative in merito al rischio sostenendo che “Occorre in particolare distinguere tra ambienti di lavoro in cui il Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) sia introdotto intenzionalmente nel ciclo produttivo (laboratori) o in cui la presenza dello stesso non possa essere evitata (strutture sanitarie) dagli altri ambienti di lavoro.
Per i primi, ossia per le lavorazioni che per semplicità potremmo definire “coronavirus esposte”, oltre alle previsioni dell’articolo 2087 del codice civile e dei protocolli condivisi richiamati dall’articolo 29 bis del “decreto liquidità” (su cui v. infra) viene in rilievo anche il titolo X del Testo unico sulla sicurezza (decreto legislativo n. 81/2008), composto da quattro capi, ventuno articoli e cinque allegati, che disciplina le misure che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare per proteggere i lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall’esposizione ad agenti biologici nell’ambiente di lavoro.”
Per le attività “Coronavirus esposte”, “Il datore di lavoro, in sede di valutazione dei rischi, dovrà quindi prendere in considerazione ogni informazione disponibile sull’agente biologico e predisporre le misure più idonee a contenere il rischio secondo la normativa vigente, l’esperienza e la tecnica.”; per le altre attività non troviamo alcun cenno alla valutazione dei rischi in quanto, a mio parere, non soggette a detto adempimento in riferimento al coronavirus (avendo a priori escluso responsabilità datoriale, penale, contrattuale ed extracontrattuale).
Prosegue sostenendo che “Dall’esame della disciplina vigente si ricava dunque che la vaccinazione rientra senz’altro tra le misure che possono essere adottate negli ambienti di lavoro in cui il Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) sia introdotto intenzionalmente nel ciclo produttivo, come nei laboratori di ricerca, di didattica o di diagnostica, o quando la sua presenza non possa essere impedita, come nelle strutture sanitarie dove siano ricoverati e sottoposti a cure pazienti affetti da Coronavirus-2 (SARS-CoV-2).”, mentre per le altre attività “la questione si pone invece in termini differenti e conduce ad escludere la possibilità di configurare, in capo al lavoratore, un obbligo di vaccinazione e la conseguente possibilità, in caso di rifiuto, di spostamento a mansioni diverse o di licenziamento.”.
Quindi come dobbiamo agire?
Siamo quindi tornati al punto di partenza:
- Aziende “coronavirus esposte” devono attuare misure specifiche di valutazione e prevenzione/protezione del rischio
- Altre tipologie applicano i protocolli condivisi
Ma quindi cosa fare se siamo aziende non “coronavirus esposte”?
Badare alla sostanza piuttosto che alla forma è il primo approccio: sicuramente applicare, nel proprio contesto lavorativo, tutte le misure individuate dal protocollo condiviso e mantenersi costantemente aggiornati sulle eventuali modifiche ed integrazioni con l’obiettivo di contrastare la diffusione del Covid-19 e continuare a lavorare.
Ma il DVR lo devono aggiornare oppure no le aziende non “coronavirus esposte”?
Sinceramente, personalmente, non ho una risposta certa e, adottando il principio di cautela (nell’incertezza alluciniamo la situazione peggiore), consiglio, a chi non vuole rischiare future sanzioni per mancato aggiornamento della valutazione dei rischi, non senza fastidio nello scrivere le seguenti parole, di aggiornare il DVR includendo il rischio da Coronavirus.
Resto affascinato e aperto a qualunque argomentazione sul tema che mi faccia avere una maggiore certezza.
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